Luci, per una volta, molto più luminose delle ombre. L’Europeo di Barcellona non lascia spazio a dubbi di particolare rilievo, nell’interpretazione della manifestazione in chiave azzurra. La squadra composta dal DT Francesco Uguagliati si è ben comportata allo stadio Olimpico e sulle strade della città catalana, mettendo in evidenza un bel mix tra forze nuove (ben sette gli esordienti assoluti) e valori consolidati. Le sei medaglie ottenute nelle altrettante giornate di gara sono un bel premio al valore dei ragazzi, ma lo sono indubbiamente di più sia i 24 piazzamenti in finale (primi otto posti), sia i 92 punti raccolti nel programma. Il confronto con Goteborg 2006, la precedente edizione della rassegna continentale (3 medaglie per l’Italia, seppure due delle quali d’oro), contraddistinta da 17 finalisti e 62 punti, racconta di un netto passo in avanti compiuto dalla squadra italiana. Le quattro medaglie d’argento, con Nicola
Vizzoni nel martello, l’Alex Schwazer dei 20km, la straordinaria Simona La Mantia nel triplo, e la 4×100 maschile, splendono con le due di bronzo, centrate ancora nelle discipline di endurance, da Daniele Meucci nei 10000 metri, e da Anna Incerti nella maratona.
E’ mancato l’acuto assoluto, quello da medaglia d’oro, per intenderci, per mettere la squadra al posto che merita nel medagliere (diciassettesima piazza a Barcellona): ma l’ottavo posto nella classifica a punti, a quattro lunghezze dal sesto, ne descrive meglio l’impatto avuto sull’Europeo. Un impatto che non si limita solo ai numeri, ma che è fatto del calore e dei colori delle emozioni regalate da molti dei protagonisti. La giornata conclusiva, per dire: l’argento della staffetta 4×100 maschile, ed i due record italiani assoluti ottenuti dai ragazzi del quartetto veloce (38.17, a cancellare dal libro dei record il 38.37 della storica nazionale di Helsinki 1983), e dalle ragazze del miglio (3:25.71, 98 centesimi di miglioramento rispetto al gruppo della Coppa Europa di Parigi 1999), descrivono egregiamente il concetto. La storia delle staffette è esemplare in tal senso. Si sono fatte scelte chiare, anche dolorose, con largo anticipo; e si è portato avanti un progetto non solo con applicazione, condivisione e continuità, ma anche con coerenza. Senza tentennamenti, passi indietro, indecisioni. Il responsabile della velocità Filippo Di Mulo, con il conforto del collaboratore tecnico Roberto Piscitelli, ha lavorato per mesi su un gruppo, costruendo una macchina che, alla riprova di fatti, si è dimostrata una formula uno, e che in stagione può vantare, oltre all’argento europeo, anche la vittoria nel Campionato a squadre di Bergen. E, sostanzialmente, creando le basi per un percorso di lunga durata delle staffette, che va decisamente oltre i nomi (e le età) degli atleti coinvolti oggi. E’ questione di metodo, per essere chiari. Discorso simile anche nella staffetta del miglio donne, dove alla crescita delle giovani, il responsabile Riccardo Pisani ha unito un ingrediente importante: la forza del gruppo, ancora una volta la condivisione di un obiettivo. Il quartetto andato in campo a Barcellona è sembrato trasformato, rispetto alla già citata occasione di Bergen di appena un mese e mezzo prima. Con Libania Grenot finalmente elevatasi a vero, concreto, valore aggiunto (49.65 la sua frazione in finale). In questo caso l’età delle componenti (25 anni esatti di media) è un ulteriore dato in positivo.
L’altro punto di forza della spedizione italiana agli Europei è il recupero degli atleti che avevano chiuso il 2009 in difficoltà, o che non lo avevano, per questioni di salute, affrontato affatto. Andrew Howe ne è il simbolo. Il suo quinto posto nel lungo è un ottimo risultato. E va sottolineato. Chi dice il contrario, dimentica forse un particolare (chiamiamolo così): ovvero, che fino alla vigilia degli Assoluti di Grosseto (31 luglio-1 agosto, ovvero un mese esatto prima di Barcellona), il ragazzo doveva ancora fare il suo rientro agonistico ufficiale nel lungo dopo l’intervento chirurgico al tendine d’Achlle del settembre 2009. E rappresentava, quindi, solo un’incognita. In seguito, sono venuti prima gli Assoluti, poi la buona qualificazione a Barcellona, ed infine una finale ancora sugli stessi livelli, 8,12. Insufficienti, è ovvio, nell’autovalutazione di un campione di razza com’è Andrew, ma da prendere nelle dovute maniere, nel momento di fare un esame sensato. Il reatino è un atleta ritrovato, in grado di fare di nuovo tanto in azzurro. E a proposito di autovalutazioni distruttive, non si può dimenticare il campione intergalattico della specialità, ovvero Alex Schwazer, la cui bella medaglia d’argento nei 20km della prima giornata è finita nel personale tritacarne dell’altoatesino a causa del ritiro nei 50km del venerdì (nella gara del bel sesto posto di Marco De Luca). Performance (l’autodistruzione) che Schwazer, con le dovute variazioni sul tema, aveva già offerto a Goteborg, e a Berlino. Ma anche a Osaka, dopo aver vinto “solo” (!) il bronzo…Ci sono sicuramente dei problemi da risolvere, in primis il suo rapporto con il tecnico che ne ha sviluppato le potenzialità, Sandro Damilano; ma come spessissimo accade nell’atletica italiana, si rischia, nel momento di fare un’analisi, di eccellere nello disciplina nazionale per eccellenza, ovvero il gettar via il bambino con l’acqua sporca. Schwazer è un campione che il mondo dell’atletica invidia all’Italia, uno dei volti riconosciuti e riconoscibili del movimento. Il punto è uno solo: come rimetterlo in carreggiata dopo la (lieve) sbandata di venerdì? Il resto è, sì, acqua sporca.
Anche Giuseppe Gibilisco, che pure era stato finalista a Berlino, appare completamente rigenerato, sia dal punto di vista motivazionale, sia da quello tecnico (era una vita che non si cimentava a quelle altezze, e il primo tentativo a 5,85, mancato di un niente, avrebbe potuto cambiare la storia della gara). Anche il discorso su Simona La Mantia va inserito in questo contesto: la ragazza di Palermo ha saputo cavarsi d’impaccio due volte, prima ritornando ad essere un’atleta in salute, dopo mille peripezie fisiche, e poi ritrovando gli stimoli giusti per allungare la strada del successo che già aveva percorso in età giovanile (quando vinse l’Europeo Under 23 a Erfurt 2005). E’ di nuovo un capitale a disposizione dell’atletica italiana.
Ci sono anche le note dolenti, com’è ovvio in uno sport individuale, dove non tutto può brillare. La nota più dolorosa è quella relativa ad Antonietta Di Martino, che ha commesso un solo errore: quello di tacere, a sé stessa per prima, la reale entità del problema al piede di stacco. E comunque, la sua è ancora una stagione eccellente, con la vittoria a Bergen, nel campionato europeo a squadre, e due risultati oltre i due metri. Prima dell’inciampo di Barcellona, che non ne mina spessore e caratura. Oggettivamente inferiori alle attese, soprattutto alle loro, i risultati di Elisa Cusma, Fabrizio Donato (seppure bravo a centrare la finale), Zahra Bani, Elena Scarpellini, Chiara Rosa (anche lei, come Donato, abile in qualificazione, ma purtroppo spenta in finale, e con l’attenuante di una stagione condizionata dal lungo stop invernale per infortunio). Caso per caso, andranno analizzate le ragioni che hanno determinato questi esiti poco felici. Poi, la vicenda dei due campioni olimpici di Atene 2004, Stefano Baldini e Ivano Brugnetti, accomunati, ancora una volta, da un percorso simile. Un ritiro, più o meno esplicito, nel 2009; il ritorno, ad alto livello, agli Europei; l’abbandono in gara a Barcellona. Entrambi, al di là di altre considerazioni, meritano il classico onore delle armi: se anche avessero commesso un errore di valutazione, questo non cancellerà mai quanto di buono hanno saputo fare nelle rispettive, straordinarie carriere.
Chiusura di nuovo con il sorriso. Argomento giovani. Marco Vistalli (semifinale dei 400 metri, conclusa con 45.38) e Marco Fassinotti (in finale nell’alto, nono, da esordiente assoluto nell’atletica dei grandi) sono il segno più tangibile del ricambio in corso, delle nuove leve che hanno voglia di affermarsi subito. Senza passare per alcuna anticamera, anche scavalcando i colleghi più esperti. La palma della migliore spetta, senza ombra di dubbio, a Marta Milani, 23enne di Treviglio, la linea verde del quattrocentismo azzurro. Due finali come bottino: quella individuale, chiusa al settimo posto, e quella di staffetta, al quarto, con il record italiano. La sua grinta sta tutta in un centesimo di secondo. Quello che, lottando con le unghie e con i denti, le ha regalato la promozione. Un centesimo che vale un oro. Simbolico, per il momento.
Marco Sicari
Nella foto, le lacrime di Simona La Mantia a Barcellona, dopo l’argento europeo (Giancarlo Colombo/FIDAL)
LE MEDAGLIE E I FINALISTI AZZURRI
Alex Schwazer ARGENTO, 20km marcia
Nicola Vizzoni ARGENTO, lancio del martello
Simona La Mantia ARGENTO, salto triplo
ITALIA (Roberto Donati, Simone Collio
Emanuele Di Gregorio, Maurizio Checcucci) ARGENTO, 4×100
Daniele Meucci BRONZO, 10000m
Anna Incerti BRONZO, Maratona
Libania Grenot 4° 400m
Giuseppe Gibilisco 4° salto con l’asta
Ruggero Pertile 4°, maratona
ITALIA (Chiara Bazzoni, Marta Milani
marie enrica Spacca, Libania Grebot), 4° 4×400
Giorgio Rubino 5°, 20km marcia
Andrew Howe, 5° salto in lungo
Marco De Luca, 6° 50km marcia
Daniele Meucci, 6° 5000m
Elena Romagnolo, 6° 5000m
Emanuele Di Gregorio, 7° 100m
Andrea Lalli, 7° 10000m
Marta Milani, 7° 400m
Silvia Salis, 7° lancio del martello
Christian Obrist, 7° 1500m
Migidio Bourifa, 7° maratona
Simone Collio, 8° 100m
Fabrizio Schembri, 8° salto triplo
ITALIA (Marco Vistalli, Luca Galletti,
Claudio Licciardello, Andrea Barberi) 8° 4×400