Quando si parla di maratona ci riferiamo in genere ai corridori etiopi o keniani per identificare un modello ideale da prendere a riferimento.
La loro struttura esile e poco dispendiosa fa dei corridori africani atleti dotati naturalmente per le lunghe distanze.
Per essere maggiormente precisi, dovremmo dire che la sua conformazione è ideale per tutte le distanze che vanno dal mezzofondo al fondo puro.
Uniche lacune, la forza muscolare e la capacità di emergere su percorsi particolarmente impegnativi, quali corsa in montagna e trail.
Ad opporsi sportivamente a questa realtà ci sono le scuole europee che hanno conseguito numerosi successi internazionali, ma negli ultimi anni hanno raccolto solo le briciole.
Al talento degli africani si opponeva la capacità dei tecnici europei di preparare i propri atleti con grande maestria, ma adesso che la preparazione è “universale” e quindi equivalente non esiste di fatto un livellamento delle prestazioni fra gli atleti bianchi e quelli di colore.
In realtà c’è da considerare un’altra potenza atletica: quella orientale.
La scuola nipponica
Ad Est si crede nel duro lavoro ed i maratoneti giapponesi lo
sanno bene, sobbarcandosi sedute lunghissime e carichi di lavoro forse persino eccessivi.
La loro struttura è interessante.
A livello di struttura corporea hanno equilibri molto vantaggiosi.
Non possiedono le leve delle gazzelle africane e la corsa non è visivamente elastica, ma questo non inganni.
C’è in realtà una grande capacità di “saper correre”.
Sviluppano velocità a basso consumo e questa è la loro dote primaria.
Gli africani hanno fibre che richiedono bassi consumi; gli orientali hanno una meccanica più essenziale, per niente spettacolare, ma redditizia.
Vediamo qualche atleta giapponese che ha lasciato un’importante traccia in campo internazionale.
Gli atleti
Ci ricordiamo ancora bene un fondista del calibro di Toshihiko Seko nato a Kuwana il 15 luglio del 1956.
Seko era un atleta giapponese straordinario sul ritmo, ex primatista mondiale dei 30.000 metri in 1h29’18”, stabiliti il 22 marzo 1981. Azione bassa, tallone quasi frenante a terra, ma è solo un effetto ottico.
La forza muscolare che usa pare quasi eccessiva, ma è assecondata dal buon movimento delle braccia scaricando ogni forma di super lavoro.
Ha vinto per ben quattro volte la maratona di Fukuoka, due volte quella prestigiosa di Boston, una volta Londra e Chicago.
Ha partecipato a due edizioni dei Giochi Olimpici arrivando quattordicesimo a Los Angeles nel 1984 e nono a Seul nel 1988.
Altro atleta giapponese di elevato spessore è stato Takeyuki Nakayama nato il 20 dicembre del 1959.
Vinse la medaglia d’oro ai Giochi Asiatici del 1986 nella maratona.
Ha vinto anch’esso la maratona di Fukuoka (1984 e 1987), la maratona di Seul (1985) e la maratona di Tokyo (1990).
Ha partecipato a due edizioni dei Giochi Olimpici centrando in entrambi i casi due quarti posti, a Seul 1988 ed a Barcellona 1992.
A Seul è stato battuto dal nostro Gelindo Bordin, Douglas Wakiihuri ed il gibutiano Ahmed Saleh.
Un quartetto in testa alla maratona olimpica che negli ultimi km hanno dato uno spettacolo epico.
Una serie di sorpassi e contro sorpassi a sugellare una maratona giocata all’ultima stoccata da quattro grandissimi interpreti della specialità.
La loro maschera di fatica e gli occhi puntati sullo stadio olimpico, desiderato, per porre fine a quell’immane fatica. Nakayama ha lasciato il passo ai suoi rivali, ma rimane nel suo palmares questa maratona passata alla storia.
Le parole ed il pianto del tecnico di Bordin, Gigliotti, che scappa dalla cabina di commento per abbracciare il suo atleta ancora oggi emozionano e portano la mente a quella giornata di tanti anni fa.
Negli anni ’90 si è distinto in campo internazionale Hiromi Taniguchi nato a Nang? il 5 aprile del 1960 vincendo la medaglia d’oro ai mondiali del 1991 nella maratona.
Primo sul traguardo della maratona di Londra del 1987, ha partecipato a due Olimpiadi, piazzandosi 8º a Barcellona 1992 e 19º ad Atlanta 1996.
In carriera, oltre al titolo mondiale del 1991, ha vinto due volte la maratona di Tokyo (1987 e 1989) ed una maratona di Rotterdam (1990).
171 cm per 55 kg di peso. Personal best sui 42 km di 2h07’40” per far capire il valore. Puro stile nipponico, falcata compressa, tutta l’energia usata tradotta in velocità.
Guardiamo adesso al femminile parlando di Mizuki Noguchi nata a Kanagawa il 3 luglio del 1978.
Questa atleta giapponese ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atene 2004 nella maratona.
Ha cominciato a correre sin da piccola e presto è entrata nella squadra nazionale di atletica correndo le distanze del mezzofondo veloce. Vince a soli 21 anni la mezza maratona di Inuyama, dopodiché si concentra sulle lunghe distanze.
Negli annali troviamo che fino al 2004 partecipa a 24 mezze maratone, vincendone ben 14.
Debutta sui 42 km e 195 metri alla maratona di Nagoya 2002 ed è subito successo. Con il tempo di 2h21’18” vince la maratona di Osaka ad inizio 2003 e stabilisce il secondo tempo giapponese di sempre.
Il 2003 è un grande anno: vince la medaglia d’argento mondiale, ma non è niente rispetto all’anno successivo che la consacrerà campionessa olimpica ad Atene. Nel 2005 metterà il sigillo sulla maratona di Berlino.
Il suo piede colpisce perché va a prendere il terreno in maniera soffice, ma la cosa che rimane impressa negli occhi è la capacità di lasciarlo libero e decontratto anche nei momenti di grande fatica, una vera e propria indipendenza a livello di caviglia che ne ha fatto una campionessa unica. Le sua braccia vanno in modo quasi esagerato ad assecondare la ritmica delle gambe ed a coadiuvare un bacino sempre molto equilibrato ed economico.
Finiamo la carrellata degli atleti giapponesi fra i più rappresentativi con Naoko Takahashi nata a Gifu il 6 maggio del 1972, è stata una grande interprete della maratona.
Il capolavoro ai Giochi del 2000 a Sidney dove vinse l’oro nella maratona con il tempo di 2h23’14” regolando Lidia ?imon e Joyce Chepchumba.
Atleta esile, alta solo 161 cm per un peso di 52 kg. Stilisticamente da manuale per concentrato di qualità.
Avampiede aperto a terra, che ricorda quasi i mezzofondisti marocchini a significare la capacità di utilizzare tutto il ritorno elastico, una rara dote nel maratoneta che talvolta può essere dannosa. Naoko aveva buonissima rapidità nei momenti di crisi per evitare di bruciarsi in un lavoro eccessivamente muscolare.
Ma come si allenano?
Riguardo gli allenamenti svolti dai giapponesi non trapela più di tanto se non l’alto carico settimanale in termini di chilometraggio ed un atteggiamento mentale favorevole ad ogni proposta.
La loro capacità di stare “attaccati” al compito gli fa atleti ideali da allenare e se facciamo caso al loro metodo di corsa possiamo capire quanta costruzione sia stata fatta sul campo di allenamento.
Potremmo dire: poca fantasia, tanta sostanza.
Pubblicato su Podismo e Atletica di Massimo Santucci