16 Novembre, 2024

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Il valore di un atleta

Il valore di un atleta

Il valore oggettivo di un runner può essere definito in vari modi, ma dal punto di vista pratico non è sempre facile confrontare prestazioni e risultati ottenuti in tempi e su distanze 10404452_908429435842161_3279385079521887255_ndiversi. Meglio correre la maratona in 2h58′ o vincere un campionato provinciale sui 10000 m? È chiaro che la definizione debba rispettare criteri di oggettività che siano riconosciuti da tutti, cioè sia dalla popolazione sportiva sia da quella non sportiva. Il valore di un atleta è dato dal suo valore economico attuale. A molti questa definizione non piacerà, ma è l’unica che mette tutti d’accordo. È abbastanza illusorio dare altre definizioni che inevitabilmente finirebbero per essere frutto di una visione soggettiva dello sport. Del resto anche in altri ambienti si fa riferimento al prezzo della merce per dare un’idea del valore a un interlocutore non esperto: un quadro di Van Gogh è stato valutato 3 milioni di euro, il tal calciatore è stato ceduto per 10 milioni di euro, il tal conduttore è passato al tal canale per tot milioni di euro e così via. Potrà sembrare arido rapportare tutto al denaro, ma è l’unico metro “universale”. In altri termini, si può essere atleti sponsorizzati da grandi aziende oppure atleti che ricevono in cambio al massimo un paio di scarpe fino ad arrivare a quelli che devono pure pagare per avere la divisa sociale. Purtroppo molti appartenenti agli ultimi due gruppi si illudono di essere

grandi atleti…

L’errore del confronto

Negli sport di resistenza, la definizione “economica” ha un’importanza ancora maggiore perché non esistono categorie di merito. In altri sport non è possibile che un atleta di scarso valore possa competere nella stessa gara con atleti di altissimo valore; esistono cioè altri criteri (magari il cui significato è perfettamente noto solo agli addetti ai lavori) come la categoria o un punteggio che non consentono facili illusioni. In molti sport di resistenza invece si può competere nella stessa gara (vedi maratona) con il campione olimpico, i tempi hanno un significato relativo perché spesso ottenuti in condizioni e su percorsi diversi, i piazzamenti non vogliono dire nulla perché sono sempre in funzione della presenza o meno di avversari qualificati ecc. Tutto ciò porta l’amatore non equilibrato a esaltare il proprio valore oltre misura, confrontandosi non con la popolazione degli sportivi, ma con quella in generale. Ecco allora che chi finisce una maratona diventa un eroe (ovviamente il sedentario non ce l’avrebbe fatta), chi fa 100 km in bicicletta a 30 km/h va fortissimo (almeno così dice ad amici e conoscenti) perché sa che loro quella velocità non la tengono nemmeno per dieci chilometri ecc.

Il confronto con la popolazione in generale è fuorviante per il semplice fatto che fra i sedentari ci sarebbero decine, centinaia, migliaia di soggetti in grado di arrivare alle modeste stesse prestazioni di tanti sportivi amatoriali. Per fare un paragone è come se dicessi che sono fra i 100 italiani più intelligenti perché so parlare molto bene il giapponese (supposto che siano solo 100 gli italiani che parlano bene tale lingua): il punto è che moltissime altre persone intelligenti non hanno né voglia né tempo di studiare il linguaggio in oggetto! Sono convinto che almeno l’80% dei maschi sedentari sani al di sotto dei 50 anni potrebbe correre una maratona sotto le 4 ore entro 12 mesi se stimolato con un premio di un milione di euro!

Questo atteggiamento di amplificazione del proprio valore è sicuramente presente nella tipologia di sportivo definita “protagonista”, di colui che usa la corsa per cercare visibilità sociale (non riuscendovi in altro modo). Per smontare questi personaggi basta una semplice domanda: “tu fai atletica ad alto livello?” Poiché si sa che fare atletica ad alto livello significa essere professionisti affermati, ovvio che l’interlocutore risponderà di no, naturalmente, convinto che la risposta non alteri il suo prestigio. Invece la logica conseguenza di quel no è che se non si fa atletica ad alto livello, la si fa a basso livello!

Il più corretto ed equilibrato confronto con la popolazione degli sportivi porta a concludere che un campione che vince una maratona internazionale ha un valore mille volte superiore a quella di un atleta che vince un prosciutto in una gara locale il che ha sua volta vale molto di più (atleticamente parlando) di chi non vince mai nulla. Questo non deve offendere chi si allena tutti i giorni, deve solo fargli capire che gli allenamenti e le gare non servono per dimostrare il proprio valore e per raccontare le proprie imprese, ma per cogliere un valore soggettivo (la sintonia con il proprio corpo, l’efficienza dello stesso, lo stato di salute psico-fisica ecc.) che è importantissimo. È soggettivamente che lo sport di resistenza deve essere importante; può esserlo oggettivamente solo per un professionista.

L’errore del gruppo

L’errore del gruppo è spesso “inconscio” perché innescato dal comportamento degli altri; correttamente non si considera come pietra di paragone la popolazione, ma, anziché considerare tutta la popolazione degli sportivi, se ne considera solo una parte, il gruppo. Si ingigantisce così il valore di un atleta considerando un insieme ristretto e il ranking che l’atleta ha in quell’insieme. Se è in alto in classifica ecco allora che il suo valore tende ad amplificarsi. Può accadere in una scuola (dove il campioncino viene osannato senza capire che è primo solo per mancanza di veri concorrenti e che alle selezioni provinciali nemmeno si qualificherebbe per le finali) o in un gruppo sportivo, dove i più forti vengono guardati con invidia e/o ammirazione. Può accadere anche a livello nazionale, dove il campione italiano viene sopravvalutato, anche se non ha speranze “internazionali”. Molto spesso è l’atleta stesso che decide di rimanere in un gruppo o di sceglierne un altro per avere queste gratificazioni.

Anche in questo caso, per uniformare gli ambienti, altro non resta che una valutazione globale che nella nostra società è economica: ciò che viene apprezzato viene pagato!

I vari tipi di valore atletico

È possibile definire diversi valori atletici e dalla loro gestione un atleta deve trarre i giusti spunti per un allenamento produttivo. In base a cosa si deve decidere il ritmo di preparazione?

Record personale – Dovrebbe essere chiaro che si tratta di un tempo ben preciso e quindi fonte potenziale di informazione. L’unico rilievo è che molti runner considerano record personali ottenuti in condizioni non chiare, come per esempio corse su strada la cui distanza era stata volutamente o per errore gonfiata dagli organizzatori. Completamente opposto è l’atteggiamento di chi considera record solo quelli ottenuti in condizioni superufficiali (condizioni che un runner amatore spesso vive solo qualche corsa all’anno). Poiché in medio stat virtus, la soluzione migliore è considerare come record personali quelli giudicati tali con spirito critico oggettivo.

Record stagionale – Il record personale fatto dieci anni fa non ha un grosso valore (anche se ci sono runner che si iscrivono a un 5000 con il tempo di vent’anni fa e poi si lamentano se arrivano staccatissimi nella loro batteria). Il record stagionale è più ragionevole, anche se non sempre si corrono tante prove su una distanza da avere un riscontro attendibile. La soluzione consiste nel parametrare tutto a una distanza base conoscendo i propri differenziali (cioè le differenze al km fra 5000, 10000, maratonina ecc.). Così è possibile avere per ogni gara un valore immediato riferito sempre alla stessa distanza. Per esempio se un runner due mesi fa ha corso i 5000 in 20′ e oggi corre i 10000 m in 41’10″ (e sa che il suo differenziale è di 10″/km fra 5000 e 10000), può stabilire che il suo valore odierno sui 5000 è di 19’45″ (3’57″/km), cioè è più in forma di due mesi fa.

Valore in allenamento – Un buon allenatore riesce a capire dai tempi di un allenamento e dalla condizione con cui l’atleta ha finito, il valore attuale dell’atleta stesso. Questo è il tempo da prendere in considerazione per i successivi allenamenti. Poiché in gara esistono atleti che rendono molto di più e altri che addirittura rendono di meno, è dannoso prendere come riferimento per gli allenamenti il record stagionale o comunque il valore in gara dell’atleta.

Valore psicologico – È il valore che l’atleta sente di valere (autovalutazione). In teoria è pericoloso affidarsi a questo indicatore, anzi l’atleta che corre a sensazione è un atleta irrazionale che può fare di tutto, la grande impresa, ma anche il più grande fallimento. In ogni caso il dialogo con un atleta psicologico è veramente impossibile e a volte frustrante: pensiamo alle tremende crisi di chi è convinto di valere meno di 3h nella maratona quando in realtà vale 3h05′. L’atleta parte a 4’15″/km, acquista sicurezza fra il quinto e il ventesimo chilometro (“L’allenatore non capisce niente”), poi, arrivato al trentacinquesimo, inizia una crisi terrificante (“Perché non ho dato retta all’allenatore?”) che lo porta a concludere in 3h10′.

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