La corsa a piedi nudi (barefoot running), nota anche come corsa naturale, affascina molti runner sin dai tempi di Abebe Bikila (1932-1973), il forte atleta etiope due volte campione olimpico di maratona (Roma 1960 e Tokio 1964). Riceviamo periodicamente mail che chiedono di trattare l’utilità di correre a piedi nudi. Esistono veri e propri sostenitori di tale tipo di corsa (nell’immagine più in avanti, Ken Saxton creatore di un suo sito web, attivo da oltre quindici anni sulla corsa a piedi nudi), anche se, sinceramente, da un punto di vista agonistico gli esempi di Bikila e Zola Budd (è un’ex atleta sudafricana
specializzata nel mezzofondo e nella corsa campestre) cominciano a essere abbastanza datati. Per capire l’inutilità di correre a piedi nudi occorre premettere che esiste una profonda differenza fra l’eseguire esercizi a piedi nudi (tipo balzi ecc.) e correre a piedi nudi. Nel primo caso basta isolare una zona senza “problemi”, dopodiché, se l’atleta è integro, può avere giovamento dall’utilizzo dei piedi senza scarpe (per esempio migliora lapropriocettività), invece correre a piedi nudi in modo produttivo è praticamente impossibile; continuare a citare, sempre e comunque, gli esempi dei due atleti sopramenzionati come fanno molti siti web che propugnano la corsa a piedi nudi non appare molto significativo dal punto di vista statistico. In realtà, il correre a piedi nudi è terminologia generica che può avere una motivazione anche solo psicologica (senso di libertà), mentre poi può evolvere in una direzione scientifica, vedasi, per esempio, il pose running, che però chiude il cerchio prevedendo comunque l’utilizzo di calzature apposite.
Analizziamo quindi compiutamente le principali problematiche connesse alla pratica del barefoot running.
I problemi connessi al fondo
Nel barefoot running sono da evitare tutti i fondi variabili (come, per esempio, lo sterrato, l’erba ecc.) perché i vari possibili corpi offendenti (sassi più o meno aguzzi, lattine, vetri ecc.) non sono facilmente visibili. Dove ho una scarsissima probabilità di non farmi male? Solo su terreni molto compatti, a visibilità massima, per esempio l’asfalto o la sabbia.Quest’ultima deve essere scartata da qualsiasi runner che utilizzi anche le normali scarpe. Resta l’asfalto, proprio la superficie per la quale è consigliabile calzare scarpe ben ammortizzate. Correre a piedi nudi sull’asfalto, ben che vada, diminuisce di molto ladistanza critica.
Per quanto riguarda la prestazione, c’è da dire che i pochi atleti che correvano a piedi nudi lo facevano perché non tolleravano le scarpe ed è veramente molto difficile sostenere che a piedi nudi la prestazione migliora. Anzi, in chi è abituato all’uso delle scarpe, è facile dimostrare il contrario.
Il pericolo di traumi
Nel barefoot running il rischio di traumi senz’altro superiore a quello relativo alla corsa effettuata con delle normali scarpe da running. Il piede è soggetto a traumi occasionali anche nella parte non a contatto con il suolo: un ramo, un ostacolo, la caduta di un qualunque peso ecc. La scarpa svolge anche la funzione di proteggere il piede da qualunque contatto; in particolare le dita sono molto sensibili a urti occasionali con materiali resistenti; ricordiamo che una frattura al mignolo del piede può costare uno stop di un paio di mesi, quando sarebbe bastata la protezione della scarpa per evitarla. Molti anni fa, un’estate, ero scalzo in casa. Suona il telefono, con un balzo vado a rispondere. Peccato che il piede cozzi contro lo spigolo di un tavolino e io mi fratturi il mignolo: 45 giorni di stop. Bastava indossare delle scarpe…
Corsa a piedi nudi e libertà
Un punto sul quale insistono molto i sostenitori della corsa naturale è il senso di libertà individuale che dà il correre a piedi nudi. Personalmente penso che la libertà sia un concetto molto più profondo e che non possa ridursi a un paio di scarpe o a un vestito (nudismo). Anzi chi pone questioni esteriori è forse incapace di realizzare vere condizioni interiori di libertà.
Da tempo mi sono rafforzato nella convinzione che la corsa debba essere semplice e collegata a una condizione generale di equilibrio di chi la pratica (equilibrio che l’immagine di Ken Saxton sinceramente non mi ispira). Spesso i runner cercano soluzioni che ne aumentino la visibilità, che li facciano sentire dei duri, che li rendano unici, eroici, irripetibili campioni di una disciplina che magari hanno inventato loro. Tutto ciò è al di fuori di un vero equilibrio e tutto sommato lesivo per la diffusione della corsa. Quale genitore sedentario vedendo passare Saxton avvicinerebbe il figlio alla corsa?