19 Aprile, 2024

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Il recupero a 120 battiti

Il recupero a 120 battiti

150342_457397712804_6401134_nLa necessità di un articolo dedicato al recupero a 120 battiti è dovuta al fatto che la difficoltà maggiore che molti atleti trovano nello svolgere le prove ripetute è di non riuscire a collegare in modo proficuo “tempo della ripetuta” e “recupero“. Le tabelle di allenamento sono ovviamente medie sulla popolazione di atleti per cui una prova del tipo 6 x1000 m a 4’/km con recupero di 2′ può risultare del tutto infattibile o troppo facile per atleti che comunque “valgono” lo standard qualitativo espresso dal tipo di allenamento. Alcuni (i resistenti) avranno difficoltà sul ritmo riuscendo a correre con il recupero prefissato a 4’05” e finendo tutto sommato freschi. Altri (i veloci) avranno difficoltà nel recupero, correndo le prime ripetute anche a 3’50”, ma finendo sulle ginocchia

le ultime in 4’10”.

Per i principianti e i jogger le ripetute sono spesso un rebus e il tutto diventa casuale. Finché non hanno imparato a conoscere bene il loro motore è opportuno che si affidino a un cardiofrequenzimetro per eseguire correttamente la seduta.

La teoria

Durante lo sforzo la gittata cardiaca di un soggetto sedentario arriva a un massimo di 25 l/min, mentre per un fondista può arrivare anche a 40 l/min. Poiché la frequenza dell’atleta è minore di quella del sedentario, ciò vuol dire che la gittata sistolica di un atleta è più che doppia rispetto a quella di un soggetto non allenato. In un soggetto allenato la gittata sistolica cresce al crescere dello sforzo e raggiunge il massimo a un’intensità pari al 50% circa del massimo consumo d’ossigeno (corrispondente a una frequenza di 100-120 battiti); poi aumenta solo la frequenza cardiaca. Arrivati verso il massimo di frequenza cardiaca, nei soggetti non allenati la gittata sistolica tende a diminuire (accentuando la crisi del sistema), mentre negli atleti resta pressoché costante.

Il recupero

Dalla teoria risulta chiaro che per il runner non evoluto ha senso ripartire quando la sua gittata sistolica è massima e la frequenza cardiaca è minima per tale gittata, cioè a 120 battiti. L’atleta riparte nelle migliori condizioni possibili. Infatti se partisse a un numero di battiti inferiore la gittata sistolica sarebbe notevolmente diminuita, producendo una spiacevole sensazione di “partenza a freddo”; se partisse a una frequenza superiore, il suo organismo non avrebbe ancora recuperato completamente dalla prova precedente (massima potenza, ma poca benzina!).

Il rovescio della medaglia

Quanto più il runner è allenato, tanto più è in grado di lavorare per periodi sempre più lunghi a frequenze maggiori di 120 battiti che rappresentano una soglia tutto sommato di basso allenamento assoluto (cioè per lui recuperare a 120 battiti è troppo facile). Continuare ad allenarsi a 120 battiti vorrebbe dire sottoallenare il sistema senza sfruttarne le potenzialità. Realisticamente l’allenamento con il recupero a 120 battiti deve essere abbandonato quando i recuperi diventano comunque troppo stretti (inferiori ai 2′ a fronte di una ripetuta impegnativa).

Si potrebbe pensare di alzare la soglia a 130 o a 140 battiti. Il discorso però non funziona perché sopra i 120 battiti la situazione di crisi non è relazionata che grossolanamente alla frequenza cardiaca. In altri termini quando il recupero a 120 battiti è molto veloce, vuol dire che il mio sistema cardiovascolare è ben allenato e non ha più senso continuare ad allenarsi secondo i battiti cardiaci (siano essi 130 o 140 o un altro valore scelto come soglia), ma occorre allenarsi secondo l’ovvio meccanismo di riduzione dei tempi di recupero. Il recupero a 120 battiti ha allenato il sistema cardiovascolare, ma ora è tempo di passare ad allenare anche altre caratteristiche come la gestione delle situazioni lattacide.

L’atleta non ha che una strada: imparare a conoscersi.

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