16 Novembre, 2024

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La programmazione annuale

La programmazione annuale

Precisiamo subito che parlando di programmazione annuale non si vuole trattare della vecchia programmazione piramidale, ormai sostituita dal ciclo di allenamento dell’atleta.10392285_904786236206481_6556396511632281884_n Una visione moderna della programmazione annuale intende, infatti, semplicemente fissare gli obiettivi della stagione, ottimizzandoli rispetto alle caratteristiche dell’atleta. Mentre per i professionisti il discorso è complicato da fattori legati al loro status, per l’amatore, il cui unico scopo dovrebbe essere quello di correre per vivere meglio e per fare sport il più a lungo possibile, è facile tratteggiare due profili tipici, motivandoli con la moderna teoria dell’allenamento. Requisito fondamentale per cui ha senso parlare di programmazione annuale è che l’atleta riesca ad allenarsi abbastanza costantemente, non sia decisamente sovrappeso e sia in grado di correre almeno una

mezza maratona (non sia cioè un principiante).

Primo profilo: il mezzofondista – È colui che gareggia sulle classiche distanze delle gare su strada domenicali, non disdegnando la mezza maratona; può anche provare la maratona occasionalmente, non più di una all’anno.

Secondo profilo: il maratoneta – È colui che corre più di una maratona all’anno.

Sembrerebbe impossibile ricondurre le miriadi di podisti a due soli profili, ma, ragionandoci sopra, vedremo che gli altri profili contengono errori più o meno grossolani nella gestione.

Il primo profilo

Da un punto di vista stagionale si caratterizza così:

Primavera-Estate: gare su strada (da 10 a 21 km), serali (da 5 a 10 km), eventuali gare in pista su distanze superiori ai 3000 m.

Autunno: come sopra o in alternativa preparazione di una maratona.

Inverno: preparazione invernale (con eventuali campestri) o in alternativa preparazione di una maratona se non l’ha corsa in autunno.

Vediamo gli errori tipici di questo profilo:

a) a causa di campionati provinciali, regionali, Grand Prix ecc., preparazione di distanze tipiche del mezzofondo veloce. Se nulla vieta di correre un miglio, è abbastanza assurdo sperare di conciliare la preparazione per gare di 10 km con quella per un miglio (o peggio un 800 m). Altrettanto assurdo è sprecare un mese o sei settimane per preparare una gara decisamente più corta di quelle abituali. L’errore non è quindi correre la gara corta, ma prepararla ad hoc: si mandano al proprio corpo stimoli continuamente diversi che provocano trasformazioni che non sempre si riesce a gestire.

b) Assenza dei periodi di scarico. L’atleta gareggia tutto l’anno, certo che, trattandosi di gare corte, non possano fare danni. Assurdo dal punto di vista teorico e pratico, spesso un tale atteggiamento accorcia la vita atletica del soggetto, sia a causa di netti cali di rendimento sia per l’aumentata predisposizione agli infortuni.

c) Partecipazione a due o più maratone nel periodo autunnale o invernale. Per farlo occorre essere maratoneti, soprattutto come mentalità. Partecipare alle maratone perché non ci sono altre gare interessanti è una pessima strategia.

d) Vedere la preparazione invernale soprattutto come periodo quantitativo (predomina il lento) o potenziante (il cosiddetto potenziamento che tornerà utile in estate!?). In realtà il soggetto confonde un corretto periodo di scarico e costruzione invernale con un periodo di rilassamento in cui predominano allenamenti tutto sommato facili.

Il secondo profilo

Da un punto di vista stagionale si caratterizza così:

Primavera-Estate: gare su strada (da 10 a 21 km), serali (da 5 a 10 km), eventuali gare in pista su distanze superiori ai 3000 m.

Autunno: preparazione di una maratona.

Inverno: preparazione invernale e preparazione di una maratona in tardo inverno o inizio primavera (fino ad aprile compreso).

Gli errori tipici di questo profilo:

a) come sopra.

b) Come sopra, ma non nel senso di gareggiare spesso quanto di correre troppe maratone. Se correre una maratona come lunghissimo si può fare teoricamente anche un paio di volte al mese (nella parte agonistica della stagione), correrla al massimo è un altro discorso. Dai dati di atleti di vertice appare assolutamente irragionevole correre più di cinque maratone all’anno.

c) Abolizione nel periodo primaverile-estivo (da maggio ad agosto) della conversione su distanze più corte. A parte il fatto che per un amatore correre ritmi svelti rallenta l’invecchiamento, preparare una maratona (che magari si correrà anche in Scandinavia con temperature ottimali) con il clima italiano nei mesi centrali dell’anno è un inutile stress per il proprio fisico.

d) Periodi di scarico totale dopo una maratona. Se l’atleta sente il bisogno di staccare con la corsa per tre o più settimane non è un maratoneta e sta sbagliando profilo. Periodo di scarico sì, stop per riposare no.

Esaminiamo ora altri profili che contengono implicitamente errori di programmazione.

L’invernale – Punta tutto sulle competizioni invernali, spesso le campestri. Per un amatore le campestri possono far parte della preparazione invernale, ma senza che costituiscano un obiettivo prioritario. Le competizioni campestri amatoriali sono organizzate spesso su distanze troppo brevi per essere veramente allenanti e con percorsi alla Rambo che (oltre ad amplificare la possibilità di infortunio) non consentono velocità decenti. L’invernale esaurisce tutte le sue cartucce in pochi mesi e vivacchia per il resto dell’anno, non capendo il motivo di certi “sorpassi”.

L’agonista – Non ama particolarmente gli allenamenti e si allena con le gare; partecipa a non competitive, a gare serali, a gare lunghe, a mezze maratone. Per lui la programmazione la fa il calendario: se c’è una corsa nei paraggi, DEVE farla.

L’antiagonista – È colui che per scelta o per necessità non gareggia che in poche occasioni all’anno, spesso concentrate in una particolare stagione. Sia che sia maratoneta sia che sia mezzofondista, fare poche gare all’anno non consente di fare una programmazione sufficientemente diversificata. Se il professionista può puntare tutto l’anno su un appuntamento, l’amatore, se lo fa, non avendo le stesse motivazioni, rischia di fondere e di disinnamorarsi della corsa.

Lo specialista – Si è convinto di essere uno specialista della pista, delle gare in salita ecc. L’errore di fondo è rappresentato dal fatto che la specializzazione ha senso solo ad alti livelli. Un amatore che fa solo gare in pista, solo gare in montagna ecc. finisce per dare al proprio corpo sempre gli stessi stimoli e, inevitabilmente, invecchia sportivamente prima di chi varia.

Il variabile – Modifica continuamente la programmazione, spesso perché vengono meno gli obiettivi che si era prefisso. In genere la paura di affrontare l’obiettivo provoca una continua rinuncia o un continuo rinvio. Tante mezze programmazioni non fanno una programmazione decente.

Il perfezionista – Sceglie una programmazione eccessivamente cesellata, non può saltare un allenamento, cerca continue verifiche. In un certo senso è schiavo del programma che, anziché aiutarlo, lo uccide.

Il rinunciatario – Non programma perché la sua attività dipende da quella dei compagni di allenamento, dal gruppo cui appartiene. Anche se le caratteristiche sono simili, ogni atleta deve avere la propria programmazione e un programma collettivo è possibile solo di massima.

Questi sono alcuni spunti di riflessione. L’importante è che giunga il messaggio:

non ci si può allenare bene se non si hanno le idee chiare su cosa si vuol fare.

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