05 Maggio, 2024

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Il gap agonistico

Il gap agonistico

10887261_10152519611557805_6645693783854175868_oUn esperto runner (corre da oltre dieci anni) ha appena ottenuto il suo record nella maratona. Galvanizzato dal successo, ma anche consapevole che sarà difficile migliorare ulteriormente, decide di razionalizzare il suo allenamento. Inizia con il misurare esattamente il suo circuito di allenamento che finora gli aveva sempre dato riscontri molto positivi; test effettuati sul circuito gli davano esattamente lo stesso risultato delle gare: 4′/km in allenamento, 4′/km in gara! Con sua grande sorpresa scopre che il circuito è “più corto”, circa 30 m per km. Inizia il nuovo piano d’allenamento con le misurazioni esatte, ma ovviamente i tempi gli sembrano pessimi. Anziché elaborare razionalmente la cosa, la elabora istintivamente: se vado a 4’08″/km in allenamento (notare che con la misurazione corta si sarebbe

convinto di andare a 4′/km) come potrò andare a 4′/km in gara?

Alla base dell’errore psicologico del nostro runner c’è l’ignoranza del cosiddetto gap agonistico:

la prestazione di ogni atleta migliora in gara rispetto all’allenamento in solitaria.

Quanto sia tale gap è variabile e dipende sicuramente dal soggetto. Un valore accettabile è compreso fra 3 e 5″/km (ovviamente a partire da identiche condizioni di freschezza atletica). Pensare di azzerarlo (come credeva il nostro runner) è pura utopia: persino i grandi campioni hanno bisogno delle lepri per fare il record.

Ovviamente il gap vale per gare di mezzofondo, diciamo dai 1500 m in su, gare nelle quali è sufficientemente lunga la sopportazione della fatica, fatica che in allenamento spinge l’atleta a usare tattiche più conservative.

Cosa genera il gap – Chi corre da solo in allenamento ha meno punti di riferimento e di motivazione (manca cioè il focus su cui concentrarsi): gli avversari, il risultato, spesso anche il percorso che in gara è molto più coinvolgente (pubblico, segnalazioni intermedie ecc.). Il gap è cioè essenzialmente psicologico, per questo è così variabile.

Il gap agonistico è un’importante grandezza descrittiva dell’atleta.

Ho un gap troppo basso – Se il gap è inferiore ai 3″ sicuramente il runner non è equilibrato ricadendo in una delle due condizioni:

a) è troppo ansioso e in gara rende meno del previsto;

b) è eccessivamente motivato in allenamento (spesso “innescato” dall’errato concetto che “basta allenarsi e si arriva ovunque”) che per lui diventa una vera e propria gara.

Ho un gap troppo alto – Se il gap è superiore ai 5″/km (notate come la finestra di normalità sia abbastanza stretta, soli 2″/km che valgono però per moltissimi runner), l’atleta in genere non ha sufficiente forza interiore, è troppo sensibile alla fatica (non “sa soffrire”), spesso è insicuro dei suoi mezzi. Diminuire il gap può sicuramente consentirgli di migliorare nettamente il suo approccio alla corsa. Ovvio che per farlo deve lavorare sulla psicologia in generale, essendo illusorio formare un carattere più forte usando semplicemente allenamenti più duri. Anni fa provai il MBW (un metodo di allenamento basato sulla piena collaborazione di mente e corpo) di Speciani su atleti con gap alto, ricavandone risultati deludenti proprio perché il soggetto continuava a interpretare “blandamente” l’allenamento in cui doveva forgiare la sua resistenza alla fatica.

Esiste il gap di gruppo? – La definizione di gap richiede il confronto fra gara e allenamento in solitaria. Infatti il gruppo può modificare completamente il gap, rendendo impossibile una sua definizione generale. Alcuni atleti soffrono molto la sindrome dell’ultimo e quindi aumentano il gap perché spesso tendono a deprimersi quando non reggono il ritmo dei più forti, altri riescono a ricavare motivazioni dal confronto proprio come se fosse in gara, azzerando spesso il gap.

Anni fa mi allenavo con un gruppo di amatori di cui io ero il più debole. I miei compagni di allenamento erano persone molto intelligenti e non facevano nulla per dimostrare la loro superiorità. Questo mi metteva nelle condizioni di affrontare certi allenamenti come se fossero una gara: per me finirli con loro (la differenza era di 5-10″/km) era garanzia di un ottimo stato di forma. Un giorno, alla fine di una serie di ripetute in pista, su quattro partiti, arrivammo addirittura in due. Vedendo il tempo della mia ultima ripetuta, uno dei due miei compagni che si era fermato mi chiese come mai andavo così forte in allenamento per poi andare così piano in gara. Facendo un po’ di conti, gli dimostrai che il tempo sulle ripetute che avevo fatto (insieme con l’altro superstite) corrispondeva esattamente ai tempi che ottenevo in gara: io avevo fatto la gara. Era lui che aveva un gap molto alto (in effetti non aveva molta propensione a soffrire in allenamento) e in gara rendeva molto di più. Io mi ero allenato con gap praticamente nullo, lui con gap di 10″/km.

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