24 Aprile, 2024

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La forza e il suo utilizzo in atletica

La forza e il suo utilizzo in atletica

SALCUS-007Per correre veloci occorre forza? La risposta appare semplice ed affermativa, ma il dibattito fra tecnici, circa la reale importanza, rimane un tema sempre aperto. Di sicuro la forza è una componente imprescindibile quando si tratta di fornire una prestazione attraverso il lavoro muscolare. La forza intesa come espressione massima ha senz’altro poca importanza negli sport ad impatto resistente, mentre diventa elemento chiave per le discipline di “potenza” che in atletica sono in primis quelle dei salti e dei lanci o quello che trattano la velocità più o meno pura come i 60, i 100, i 200 ed i 400 metri. Sul piatto della corsa, se ragioniamo sull’uso della forza, bisogna mettere anche la resistenza e la velocità intesa come attività

qualitativa che perdura nel tempo (in modeste proporzioni). Dobbiamo inoltre aggiungere e confermare che c’è poco da eccepire con i tecnici che definiscono la velocità come un derivato della forza.

Già da questo possiamo evincere quanto sia utile aumentare i parametri della forza, che peraltro rispetto alla meccanica ha margini superiori di crescita.

Per estendere il concetto, la velocità di corsa è data dalle qualità fisiche e dal gesto tecnico che unite alla capacità di resistere e dai consumi relativi forniscono il ritmo di crociera. Per migliorare le qualità fisiche di base, bisogna incrementare le capacità neuromuscolari.

Prendendo in analisi l’attività muscolare dobbiamo far luce sulle varie espressioni della forza:

  • forza massima, interessa quasi per niente al fondista e trova il suo maggior coinvolgimento in sport dove bisogna vincere l’opposizione di pesi o resistenze importanti;
  • forza esplosiva, utile per i velocisti perché devono esprimere in rapidità la fase veloce iniziale;
  • resistenza alla forza massima, concetto non corretto per purezza della definizione, ma utile per indicare lo sforzo per chi deve correre a velocità massimali per 6/20 secondi;
  • resistenza muscolare, rappresenta la capacità di poter spendere forza anche dopo parecchie decine di minuti di impegno fisico.

Questi ultimi due punti innescano già processi metabolici e quindi sono da monitorare riguardo i consumi.

Come allenare la forza

I parametri che in genere vengono presi a riferimento per allenare la forza, riguardano la “grandezza” del carico e la velocità di esecuzione; la somma di queste costanti permettono lo sviluppo della forza.

La potenza (che fissa la produzione e l’impiego di energia) è la congiunzione fra velocità e forza e si esprime in watt. In sport come il ciclismo è un parametro usato per capire al meglio l’erogazione energetica, nell’atletica di resistenza ha una rilevanza inferiore, ma rappresenta comunque un concetto di base.

Per allenare la forza dobbiamo considerare che la velocità è in sostanza costituita da una continua contrazione e decontrazione muscolare. Modulando i tempi di queste due azioni si possono azionare dei parametri di carico e direzionarli verso il fine desiderato. Lavorando a bassa intensità si tende a “fare massa” (ipertrofia) e ad acquistare forza pura; mentre agendo in maniera veloce tendiamo a fare forza poi spendibile con il gesto specifico delle distanze più lunghe.

Il “Superlento”

Già da lungo tempo esistono studi circa l’esecuzione di esercizi a bassa intensità per acquisire, oltre alla forza anche all’aumento della densità mitocondriale. La tecnica del super slow è stata approntata dallo studioso Ken Hutchins più di 30 anni fa, ed è rivolta al miglioramento della forza resistente.

Agendo con carichi a velocità molto bassa si dovrebbe far aumentare la resistenza in regime di forza.

A questo riguardo hanno teorizzato ultimamente Alberti-Garufi-Silvaggi riprendendo il concetto dell’allenamento della forza a bassa intensità. L’aspetto più interessante riguarda l’effettuazione di un lavoro di forza con restrizione del flusso sanguigno. La novità è rappresentata dallo stress prodotto sulle fibre bianche a basse velocità, cosa che invece avviene normalmente con esercitazioni intense. Con questo metodo si escludono le fibre rosse in poco tempo in quanto lo sforzo (azione lenta in presenza di sovraccarichi) diventa rapidamente anaerobico.

Le ripetizioni dell’esercizio programmato possono avvenire per contrazione volontaria o involontaria ed hanno tempi stabiliti dall’ordine del carico imposto.

Le contrazioni concentriche ed eccentriche variano dal tipo di esercizio e dalle finalità, comunque si dà per buono e produttivo un tempo che per ogni tipo di contrazione che va dai 5 ai 10 secondi. Non deve esistere un momento dove venga rilasciata la tensione muscolare pena un decadimento del condizionamento attivato. La maggiore durata dell’esercizio regala vantaggi circa il lavoro metabolico. Aumentando il tempo della fatica (condizione critica), si ha inoltre uno stimolo della forza attraverso la somatotropina (ormone della crescita, GH).

Parlando di carichi bisogna definirne anche l’entità e tale valore è senz’altro da posizionare in una fascia che va dal 60 all’80% del carico massimo sostenibile. In genere i tecnici di atletica preferiscono non utilizzare lavori isometrici per sviluppare forza (o almeno in percentuali sensibili) in quanto non entrano in gioco actina e miosina quali elementi contraddistintivi della contrazione muscolare e quindi del gesto specifico della corsa.

Le possibili virtù dello slow

Secondo autorevoli pareri, lavorare a bassa velocità in presenza di carichi, aiuterebbe la ricostruzione del tessuto connettivo. Questo si può ottenere anche in assenza di carichi esterni modulando esercizi particolari, come ad esempio l’esecuzione di molleggi con arto piegato oppure affondi con varie dinamiche.

Lasciando aperta l’ipotesi al dubbio riguardo gli effettivi benefici che tali metodiche possano apportare, pare tuttavia certo il vantaggio che può derivare dall’utilizzazione di carichi non massimali. Questa pratica porta a ridurre sensibilmente i rischi da infortunio ed è quindi una strada praticabile anche nella ripresa dopo infortuni per non sovraccaricare.

La sintesi è che non ci sarebbe la necessità di creare picchi massimi di carico attraverso i pesi, ma mandare in esaurimento le fibre con carichi non estremi.

I benefici derivati dal lavoro lento per la forza, sembra che si possano avere in poco tempo e questo pare confermato da atleti che lo utilizzano in prossimità delle gare. Quindi rimanendo un lavoro orientativamente da catalogare nel preagonistico, può anche essere inserito a ridosso delle competizioni.

La ricorrenza dev’essere comunque modesta, una, massimo due volte a settimana, e in linea generica dovrebbe prendere il 5% circa di spazio nel carico settimanale.

La metodica di maggior impiego è quella della “serie lenta a scalare”, infatti, il tempo impiegato è breve.

Si tratta di 2, massimo 3 serie di 6/8 esercizi ciascuna. La serie è in genere formata da 3-4 ripetute con peso del 70-80% rispetto al massimale e poi si scala del 20% per ancora 2-3 ripetizioni andando verso l’esaurimento con un alleggerimento di un ulteriore 20%.

Gli esercizi probabilmente migliori per ottenere un rapido condizionamento, ma anche per essere assistiti in modo vigile dal tecnico in fase di lavoro, sono training con il bilanciere e squat.

Per aggiungere forza al nostro corpo, un occhio va dato anche alla fase elettrica. Coinvolgendo una maggiore attività delle unità motorie possiamo ottenere una grande prontezza del sistema nervoso con risvolti positivi sull’organizzazione neurale.

Creare connessione tra forza e processi deputati alla sua utilizzazione, è un compito da risolvere brillantemente sul campo di allenamento, per ottenere alti indici di rendimento sportivo, senza l’esclusione di nessuna specialità dell’atletica.

A cura di

Massimo Santucci
Istruttore FIDAL

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