Riuscire a cambiare velocità durante una gara è qualità per pochi. Il cambio secco di marcia rientra fra le caratteristiche poco comuni. Questo valore si può acquisire solo parzialmente attraverso alcuni tipi di allenamento. Ragioniamo sulle metodiche che si possono applicare e facciamo alcune riflessioni sui campioni. Si ritiene che per ottenere una prestazione migliore sia utile correre a ritmo costante durante tutto il percorso della competizione. Questa è sicuramente una giusta valutazione se ci riferiamo a una gara di lunga distanza, come è il caso di una maratona. Nelle gare che si sviluppano su distanze più brevi, le variabili che si presentano vanno spesso ad incidere sul ritmo, con la conseguenza di non tenere un passo uniforme durante la competizione. Tanto più breve è la gara e più difficile sarà l’approccio ad essa.
LA PARTENZA
In genere la partenza viene affrontata ad un ritmo più alto di quello che si intende tenere durante la gara. Ciò è necessario per venire fuori dal gruppo e guadagnare le posizioni migliori, in modo da evitare di rimanere rallentati dagli avversari più deboli. E’ buona cosa però, effettuati i primi 3-400 metri veloci, mettersi al ritmo al quale si è deciso di correre la gara. E’ importante mettersi il più velocemente possibile al proprio passo, perché insistere per più tempo su andature non consone, rappresenta un rischio assolutamente non necessario.
LA PARTE CENTRALE
Dopo l’avvio, il corridore deve cercare un ritmo di percorrenza ideale, andando alla ricerca dell’equilibrio sia intensivo che estensivo. Sono da evitare accelerazioni senza alcun senso. Ci sono a questo riguardo da valutare alcuni aspetti perché durante la gara si possono presentare delle variabili.
In un percorso misto è difficile trovare un grado di impegno uniforme. Infatti i tempi di passaggio ai vari chilometri non possono essere presi in considerazione visto l’alternarsi di pendenze del percorso. In questi casi, si dovrebbe fare riferimento alle frequenze cardiache, che dovrebbero essere indice di una costante e corretta distribuzione dello sforzo. Ma in termini pratici così non è perché non si può fare una esatta equivalenza: parità di frequenza, parità di impegno. Bisogna ancora una volta affidarci alla sensibilità propria per gestire un corretto ritmo di gara.
Sono da considerare inoltre le caratteristiche individuali e cioè l’adattamento del soggetto allo specifico percorso. Oltre alle attitudini personali, anche altri elementi, quale un peso eccessivo da parte del corridore, precludono una lineare gestione del ritmo. Infatti quando il tracciato richiede leggerezza e agilità l’atleta con più peso si troverà penalizzato.
IL FINALE DI GARA
Le fasi finali di gara richiedono spesso un ulteriore sforzo poiché il corridore può trovare a giocarsi la posizione negli ultimi metri. Se la gara è stata ben interpretata e sono state spese le energie in modo corretto, il carburante rimasto servirà per finire la competizione senza cali di ritmo. Di certo non ci sarà benzina per incrementare notevolmente la velocità. Se così non è, ma in realtà il runner riesce a sprintare in modo efficace e netto, deve rammaricarsi di non avere speso prima quei tesori di energie per ottenere un tempo di gara migliore. Diverso è il discorso riguardo a gare tattiche, ad esempio gare in pista con atleti di vertice, ma questo è altro capitolo.
IL CAMBIO DI VELOCITA’
L’incremento temporaneo della velocità, si può cercare con l’allenamento mirato alle capacità specifiche. Determinate caratteristiche si possono migliorare, ma fanno senz’altro parte di qualità innate dell’atleta. Chi non ha fibre muscolari adatte ad assecondare repentini cambi di velocità, può migliorare per fronteggiare meglio determinate situazioni senza tuttavia riuscire a farne un proprio punto di forza. Infatti tali atleti, anche se corrono ad un ritmo più lento di quello che potrebbero tenere, non riusciranno quando effettuano la variazione a sviluppare alte velocità.
QUANDO EFFETTUARLO
Il cambio di ritmo può essere una carta in più da giocare in gara. Ad esempio trovandosi insieme ad un corridore di pari valore, ma non dotato o allenato a sostenere variazioni di velocità, si può risolvere a proprio favore la gara inserendo una variazione durante essa. Il momento migliore per effettuare il cambio può essere dettato dal percorso e quindi eseguirlo quando il tracciato prevede caratteristiche favorevoli all’atleta. Il podista deve guardarsi dentro per capire se nel momento in cui effettua il cambio è in condizione di poterlo supportare. Il momento buono può venire suggerito anche dalle condizioni dell’avversario. Se scoviamo in lui un momento di difficoltà, magari una respirazione più impegnata, potrebbe essere l’istante in cui operare l’incremento del ritmo.
UNA VARIAZIONE ANCHE MENTALE
L’atleta che subisce la variazione si trova di norma in difficoltà. Egli deve prendere una decisione immediata circa l’opportunità di rispondere all’attacco o tenere la propria andatura con la speranza di recuperare più avanti il rivale. Ma è a livello mentale che può minare le sicurezze, infatti dopo aver condotto buona parte di gara insieme, il corridore che subisce l’azione rimane scoraggiato dall’atteggiamento del rivale. Questo perché sperava in un suo cedimento mentre constata invece l’ottima condizione che l’avversario possiede ancora. In alcuni casi il valore dei due è il medesimo, ma chi ha qualità anaerobiche migliori, può provare a mettere in crisi l’avversario anche sotto il profilo mentale.
UN ESEMPIO PRATICO
In una gara di 10 km due atleti tengono una cadenza di 3’30” al km. L’atleta A dopo 5 km dalla partenza compie 500 m a 3’20” al km guadagnando spazio sull’atleta B. Quest’ultimo se non ha capacità adeguate sarà costretto a cedere preziosi metri al rivale o se risponde all’attacco spenderà un mare di energie compromettendo così un buon finale di gara. È ovvio che l’atleta A nel momento in cui corre a 3’20” al km ha un’alta produzione di lattato essendo ad un ritmo più veloce rispetto al proprio limite di soglia anaerobica, ma terrà tale andatura per poco tempo. Se l’atleta è ben allenato avrà un rapido smaltimento lattacido e riuscirà dopo poco tempo da quando si è rimesso alla velocità di 3’30” al km ad aver eliminato il lattato in eccesso. Diciamo che egli ha lavorato su esercizi che implicano la produzione di buone quantità di lattato con recuperi specifici per ottimizzare un corretto ripristino muscolare. Questi training richiedono un notevole impegno psico-fisico, ma sono fondamentali soprattutto per chi gareggia su distanze fino a 12-15 km.
I CAMPIONI
Una straordinaria sintesi di quanto detto, la ritroviamo nei 10000 metri dei Mondiali dell’ ’87 a Roma. Francesco Panetta, prima di vincere i 3000 siepi, affrontò appunto i 10 km guadagnandosi la medaglia d’argento. Trovò sulla sua strada il keniano Kipkoech, straordinario talento che aveva una facilità di corsa eccezionale. Dopo circa metà gara condotta insieme al nostro alfiere, effettuò un repentino cambio di ritmo che lo portò a correre 800 m sotto i 2’. A Panetta che correva ad un ritmo di circa 2’45” al km non rimase altro che ammirare tale azione. Dopo 2 giri di variazione, il keniano si mise di nuovo al ritmo precedente, ma fra lui ed il rivale aveva scavato un solco decisivo.
Anche John Ngugi, quando vinse l’oro olimpico nei 5000 metri, fece qualcosa di unico. Sapendo che avrebbe rischiato grosso nel caso di un arrivo in volata, decise di partire ad un ritmo pazzesco. In una finale olimpica ebbe le gambe, ma anche il coraggio, per correre il primo chilometro intorno ai 2’30”. Fu proprio il vantaggio guadagnato nella prima parte che gli permise di gestire il finale di gara senza rischi eccessivi. In una gara tattica avrebbe dovuto battere atleti dallo spunto micidiale, in quel modo giocò le proprie possibilità al meglio.
Anche il nostro Salvatore Antibo fece qualcosa di mirabile agli Europei del ’90. In quella occasione vinse 2 ori, nei 5 e nei 10 km. Nella distanza più lunga fece gara solitaria imponendo dalla partenza un ritmo infernale, per poi gestire il tutto in piena tranquillità. Nei 5 km dopo una caduta all’avvio, fu costretto a spendere molte energie per riportarsi in gruppo, riprese fiato per poi andare nel finale a regolare tutti in una volata mozzafiato. Se non avesse posseduto caratteristiche speciali di resistenza lattacida, difficilmente avrebbe potuto permettersi di fare ciò che ha fatto.
E’ bello ricordare queste imprese che appartengono a grandi campioni, ma con le dovute proporzioni cronometriche, anche l’amatore può talvolta giocare d’azzardo.
E’ necessario, ripeto, avere in mano determinati lavori che permettono di accedere ai cambi di ritmo, cercando in ogni caso di non abusarne. Se non si ha una buona sensibilità e/o una corretta preparazione, il rischio di trovarsi senza gambe dopo una variazione è alto. I cambi di ritmo sono pericolosi, solo l’atleta maturo può usarli come arma in più da giocare, quando sul ritmo non si riesce ad avere ragione degli avversari